Il Tribunale di Roma ha riconosciuto il covid come sopravvenienza svantaggiosa tale da permettere al conduttore la rinegoziazione al ribasso del canone
L’emergenza sanitaria da Covid-19, che da mesi attanaglia il nostro Paese, è stata riconosciuta dal Tribunale di Roma quale sopravvenienza svantaggiosa tale da consentire al conduttore di un immobile adibito a servizio di ristorazione di poter ottenere la rinegoziazione al ribasso del canone di locazione contrattualmente previsto.
Tale previsione dei Giudici Romani è volta a tutelare il ristoratore messo in difficoltà dalla chiusura dovuta all’emergenza sanitaria provocata dal coronavirus e prevede un taglio per i mesi di aprile e maggio, dove vi è stato un blocco totale in Italia, ed altresì per il periodo che va da giugno di quest’anno a marzo 2021.
Atteso il contratto di locazione risulta essere un contratto a esecuzione continuata è necessario prendere in analisi l’articolo 1467 c.c., il quale prevede che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458.
La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
Il Tribunale di Roma, alla luce del comma terzo del richiamato articolo, ha ritenuto che la rettifica delle condizioni contrattuali squilibrate può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l’azione di risoluzione, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione non può pretendere che l’altro contraente accetti l’adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite.
Inoltre secondo i Giudici Romani “deve ritenersi che lo strumento della risoluzione giudiziale del contratto squilibrato, volta alla cancellazione del contratto, nella misura in cui quest’ultimo non contenga alcuna clausola di rinegoziazione derogatrice della disciplina legale, soprattutto per i contratti commerciali a lungo termine, possa in alcuni casi non essere opportuna e non rispondente all’interesse della stessa parte che, subendo l’aggravamento della propria posizione contrattuale, è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto squilibrato e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali squilibrate”.
La crisi economica dipesa dalla pandemia provocata dal Covid-19 e la chiusura forzata delle attività commerciali devono qualificarsi quale sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale.
Alla luce di quanto sopra il Giudice ha previsto che “qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia da COVID-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)”.
Per quanto riguarda l’ammissibilità di un’azione riduzione in via equitativa dei canoni di locazione in ragione del mancato rispetto dei canoni di buonafede e correttezza, proposta in via principale senza previa domanda di risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità» va chiarito che «la buonafede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l’alea normale del contratto, e, nello specifico, le suddette circostanze vengono a verificarsi nel caso dei cosiddetti contratti relazionali implicanti un rapporto continuativo tra le parti e che mal tollerano la risoluzione del contratto, tra cui i contratti di locazione.
Questo vuol dire che in tali ipotesi “sorge, pertanto, in base alla clausola generale di buonafede e correttezza, un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell’alea normale del contratto”.
Alla luce di ciò è possibile affermare che la clausola generale di buonafede e correttezza, svolge la funzione di rendere flessibile l’ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore.
Nel caso specifico il Giudice ha quindi concluso che nonostante “la presenza dell’intervento generale del legislatore per fare fronte alla crisi economica causata dal COVID-19», deve ritenersi «doveroso in tale ipotesi fare ricorso alla clausola generale di buonafede e di solidarietà sancito dall’articolo 2 della Carta Costituzionale, al fine di riportare il contratto entro i limiti dell’alea normale del contatto” e per fare ciò ha disposto la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021.
Tale ordinanza del Tribunale di Roma costituisce un importante precedente che attribuisce la facoltà a migliaia di ristoratori di ricorre in giudizio per ottenere la riduzione dei canoni di locazione a causa dei danni subiti alle proprie attività dall’epidemia da Covid-19 che sta affliggendo il nostro paese ed il mondo intero.
Avv. Gennaro Colangelo Dr. Luigi Faggiano
Si allega :
ordinanza del 27 agosto 2020 – Tribunale di Roma, sez. VI Civile