DALLA PARTE DEL LAVORATORE
Lo Studio, anche nella persona dell’avv. Gennaro Colangelo, assiste un dipendente nelle controversie giudiziali contro il datore di lavoro sia in ambito civile che penale.
Di seguito l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 19 settembre 2017.
«Resero falsa testimonianza» Indagati due dirigenti di Atm
Chiamati dal Tribunale del lavoro per deporre in una causa per mobbing e «demansionamento» vinta dal dipendente. L’azienda: accuse pretestuose
Due alti dirigenti dell’Atm sono indagati per falsa testimonianza. Negli anni scorsi sono stati chiamati dal Tribunale del lavoro per deporre in una causa per mobbing e «demansionamento» avanzata da un dipendente dell’azienda dei trasporti impiegato nel deposito di via Palmanova.
La prima causa (anno 2012) si è chiusa con una conciliazione (e risarcimento al lavoratore). La seconda (anni 2015-2016) è finita ancora con una «vittoria» del dipendente e un nuovo risarcimento. Nella terza, chiusa a fine 2016, l’Atm ha comunque avuto di nuovo torto per un trasferimento «illegittimo».
È in questo percorso che i dirigenti sono stati chiamati a testimoniare: è bene precisare che sono indagati in base alla denuncia proposta dal lavoratore (assistito dai legali Domenico Tambasco e Gennaro Colangelo). Uno dei manager è ancora in Atm. L’altro invece, dopo una lunga carriera, è stato di recente allontanato dall’azienda. L’asettica spiegazione fornita per questa «cacciata» nei giorni scorsi è stata quella di una «riorganizzazione interna del management», che ha coinvolto anche l’avvocato che per decenni ha guidato l’ufficio legale e ha gestito tutte le cause di fronte al Tribunale del lavoro.
Questa storia inizia nel 2007, quando il lavoratore svolgeva una semplice mansione: controllare che la ditta che aveva in appalto la pulizia del deposito svolgesse il servizio secondo le regole del bando.
IRREGOLARITÀ E DENUNCE
Si trattava della Colocoop, azienda che nel 2014 ha subito un’interdittiva antimafia della Prefettura di Milano. Il lavoratore denunciò alcune irregolarità, e soprattutto che la ditta, per alimentare le proprie macchine delle pulizie, «rubava» il gasolio dell’Atm invece che usare il proprio carburante. Da quel momento iniziano i problemi: il primo è una diffamazione per molestie sessuali a carico di una donna che lavorava per l’azienda di pulizie. Si scoprirà poi che la donna venne istigata a denunciare falsamente da un «capetto» locale della ditta, poi condannato dal giudice di pace per ingiurie e minacce.
Tra 2007 e 2010 c’è il primo periodo di demansionamento che il lavoratore denuncia e per il quale ottiene il risarcimento, come conciliazione, nel 2012.
Da quel punto in poi però, di fatto, il dipendente si ritrova in una condizione ancor peggiore, lasciato senza lavoro, con un tavolo vicino alle macchinette del caffè nel deposito. Uno dei colleghi chiamati a testimoniare ha raccontato: «Non si occupa di nulla, l’ho sempre visto tra il locale mensa e la sala relax, non aveva un ruolo, una mansione all’interno del deposito». In base a una serie di testimonianze, il giudice a novembre 2015 conclude: «Nessun dubbio sul fatto che si sia trovato in una condizione di assoluta inattività e totale svuotamento delle mansioni. Può ritenersi accertato che l’azienda sia stata motore primo nel verificarsi di siffatta condizione».
LE DEPOSIZIONI
Ma perché un’azienda pubblica di 9mila dipendenti, con bilanci da centinaia di migliaia di euro, dovrebbe «accanirsi» in tal modo contro un lavoratore? Su questo il Tribunale non è tenuto a fare approfondimenti. Nella carte si trova il «rapporto informativo» di un ingegnere che diceva: «L’impressione personale è che sia stato montato un caso al fine di “dare una lezione” al dipendente che più volte si è occupato di controlli relativi ai lavori giornalieri di pulizia».
Nello stabilire il risarcimento nel 2015, il giudice toglie un quarto della somma perché il dipendente, non accettando le proposte di riqualificazione dell’Atm, avrebbe contribuito in parte a «determinare la condizione di inattività» (questo passaggio è stato impugnato in appello). Le denunce per falsa testimonianza fanno riferimento proprio ad alcuni elementi raccontati dai dirigenti davanti ai giudici in queste cause. Mentre è ancora in corso l’ultimo processo, il lavoratore viene trasferito in un diverso deposito: anche stavolta gli avvocati impugnano il provvedimento, e ancora una volta (sentenza di dicembre 2016) i giudici danno torto all’azienda.
Esistono poi altre due denunce contro una legale di Atm, che a sua volta ha querelato il lavoratore per insulti e minacce, sostenendo che l’uomo stesse annotando la targa del suo motorino fuori dal Tribunale prima che iniziasse un’udienza («È stato per questo rinviato a giudizio», precisa l’azienda).
LA REPLICA DELLA SOCIETÀ
L’Atm inquadra l’intera vicenda in questi termini: «In questi anni, l’azienda ha cercato in ogni modo di venire incontro alle esigenze del lavoratore proponendogli mansioni di diverso tipo, che fossero anche compatibili con le sue esigenze personali; tuttavia egli, anche pretestuosamente, non ha mai accettato nessuna delle numerose proposte di ricollocazione, o di riqualificazione professionale».
E ancora: «Per quanto riguarda l’ennesima querela sporta dal lavoratore nei confronti dell’azienda, quella sulla falsa testimonianza, Atm ribadisce la piena fiducia nell’operato dei propri dipendenti coinvolti».
Gianni Santucci
19 settembre 2017 | 08:01
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