Partiamo dal caso concreto: una persona si rivolge a un giudice perché ritiene di essere stata diffamata (o altro) con un post, una fotografia o un video pubblicati su un social network.
A fronte dell’azione giudiziaria, il tribunale nazionale può condannare la piattaforma citata in giudizio a rimuovere non solo il contenuto indicato nell’atto introduttivo, ma anche quello che ha contenuto identico ed è presente on line in altri link. Tale rimozione deve avvenire a livello mondiale, prescindendo quindi dal confine nazionale ed europeo (come invece sempre la stessa Corte ha stabilito nei confronti del motore di ricerca e di cui abbiamo parlato in un precedente articolo).
Il motivo è che se è vero che le piattaforme non hanno l’obbligo di monitorare attivamente i propri utenti al fine di rinvenire contenuti illeciti, è altrettanto vero che nel momento in cui vengano a conoscenza dell’esistenza degli stessi, o di contenuti simili a quelli denunziati, hanno l’obbligo di rimuoverli.
Quali problemi potrebbe porre questa presa di posizione?
Da una parte, come affermato da Facebook, così operando di fatto un Paese impone le proprie leggi sulla libertà di parola di un altro Paese e, dall’altra, che la qualifica di contenuto identico o equivalente è affidata ai Tribunali nazionali ,in quanto non esiste una normativa comune a tutta l’Europa.
Ma come si è arrivati a tale decisione?
La decisione della Corte prende le mosse da una causa avviata nel 2016 dall’allora presidente austriaca dei Verdi Eva Glawischnig-Piesczek nei confronti del social network Facebook ove aveva chiesto la rimozione non solo a livello nazionale, ma globale, dei contenuti diffamatori presenti su FB.
Secondo la sentenza, quindi, i discorsi d’odio, la già citata diffamazione e altri contenuti illegali e le loro copie vanno considerati tali senza alcun confine e le piattaforme ne sono responsabili, essendo così sempre più equiparate a editori di contenuti.
Ebbene, la Corte ha però ritenuto che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un host provider sia costretto a rimuovere informazioni equivalenti a quella qualificata come illecita, qualora un obbligo di rimozione non implichi una sorveglianza generale delle informazioni memorizzate e discenda da una conoscenza risultante dalla notifica effettuata dalla persona interessata, dai terzi o da un’altra fonte.
Per quanto riguarda, poi, la portata territoriale di un obbligo di rimozione imposto ad un host provider nell’ambito di un’ingiunzione, si deve ritenere che quest’ultima non sia disciplinata né dall’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 né da nessun altra disposizione di siffatta direttiva e, pertanto, che tale disposizione non osti a che un host provider sia costretto a rimuovere informazioni diffuse a mezzo di una piattaforma di rete sociale a livello mondiale.
Inoltre, detta portata territoriale non è neanche disciplinata dal diritto dell’Unione, nella misura in cui, nella specie, il ricorso della ricorrente non è fondato sul medesimo.
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avv. Gennaro Colangelo dott.ssa Rosa Colucci