DIRITTO CIVILE: Locazioni e coronavirus: RICORDATE A DICEMBRE COSA ERA STATO STABILITO?

Elisa Boreatti

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 Con ordinanza del 16 dicembre il Tribunale di Roma ha ritenuto che l’esistenza dell’emergenza da Covid-19 non sia di per sé condizione intrinsecamente impediente in termini assoluti, rilevante ai fini dell’impossibilità di adempiere al pagamento dei canoni dell’immobile adibito ad uso commerciale.

 

Il fatto.

 

Il locatore chiedeva la convalida dello sfratto ed era disposto a rinunciare a parte dei canoni insoluti, che ammontano a oltre 256 mila euro, pur di arrivare a una composizione bonaria della controversia. La società conduttrice chiedeva la rinegoziazione del canone, lamentando di non aver potuto adempiere al pagamento dopo aver patito una riduzione del fatturato di oltre il 72%.

La parte conduttrice poneva alla base della propria richiesta l’esistenza di una situazione di emergenza sanitaria riconducibile alla pandemia da SARS-Cov 2, la quale avrebbe comportato una alterazione del rapporto contrattuale e l’impossibilità di eseguirlo o, comunque, di beneficiare pienamente del godimento del bene, con conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, la cui rilevanza al fine della revisione delle condizioni contrattuali è invocata in giudizio.

Tuttavia, il Tribunale di Roma ha ritenuto che l’esistenza di una emergenza sanitaria non è di per sé condizione intrinsecamente impediente in termini assoluti, diversamente dal caso di scuola, ad esempio, del crollo dell’immobile a seguito di terremoto o del crollo dell’unica via di accesso all’immobile a seguito di calamità naturale.

Il ragionamento del Tribunale:

La limitazione ai diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti verificatesi nel periodo di emergenza sanitaria è dovuta, infatti, non alla intrinseca diffusione pandemica di un virus ex se, ma alla adozione “esterna” dei provvedimenti di varia natura (normativi ed amministrativi) i quali, sul presupposto della esistenza di una emergenza sanitaria, hanno compresso o addirittura eliminato alcune tra le libertà fondamentali.

Ai fini della valutazione sull’incidenza del sinallagma contrattuale, si deve quindi verificare se tale compressione fosse insuperabile, ovvero se si fosse in presenza di atti censurabili ed illegittimi e/o di una norma incostituzionale o in violazione delle Convenzioni internazionali, e se la loro ipotetica caducazione avrebbe potuto eliminare le conseguenze dannose.

Nel ritenere illegittimi in quanto in contrasto con la Carta Costituzionale il DPCM emergenziale, il Tribunale ha evidenziato come la parte ben avrebbe potuto (ed, anzi, dovuto) impugnare tale atto, con ciò eliminando in radice le conseguenze che ne sono derivate.

Si tratta quindi, a ben vedere, non di un danno “da emergenza sanitaria”, ma di un danno da attività provvedimentale, che si reputa illegittima, e che la parte non si è attivata in alcun modo per rimuovere e, di conseguenza, eliminarne gli effetti dannosi, che dunque ben avrebbe potuto evitare.

Tale ordinanza ha fatto discutere – e sicuramente farà ancora discutere – poiché, oltre ad esprimere un importante principio di diritto, ha praticamente dichiarato illegittimi i DPCM Covid-19.

 

Commento di Studio Legale Boreatti Colangelo & Partners

 

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