DIRITTO CIVILE: Scrittura privata: tra disconoscimento e querela di falso

Elisa Boreatti
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Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, ordinanza nr. 1028, depositata il 16 gennaio 2019

 

La citata ordinanza è interessante in quanto sottolinea quali siano gli strumenti che devono essere utilizzati quando sorgono contestazioni rispetto ad una scrittura privata.

FATTO

Le Parti in causa avevano sottoscritto una scrittura privata per l’acquisto di un’auto in forza della quale era stato convenuto il versamento di euro 5.500,00. Somma questa che però era stata versata e così la persona che ha ufficialmente ceduto la vettura si era visto costretto ad adire le vie legali, citando in giudizio il compratore.

In Primo grado l’acquirente si è costituito in giudizio impugnando e contestando tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto ed eccepito e alla prima udienza formalmente ha disconosciuto ex art. 214 cod. proc. civ. il contenuto della scrittura privata intercorsa tra le parti. Il Tribunale Civile dell’Aquila decidendo in via definitiva, ha accolto la domanda dell’attore e così ha stabilito: “1) condanna il convenuto al pagamento, in favore della società attrice, per il titolo di cui in motivazione, della somma di Euro 5.500,00, oltre gli interessi nella misura legale dal 22.04.2005 al saldo; 2) condanna il convenuto al pagamento in favore dell’attrice delle spese processuali”.

Il convenuto ha proposto appello e venendo questo rigettato si è rivolto alla Suprema Corte che parimenti con l’ordinanza in epigrafe ha rigettato il ricorso.

COSA DICE LA SUPREMA CORTE

In particolare la Suprema Corte ha così stabilito  “(…) considerando che la scrittura privata in questione, elidendo quanto disconosciuto nel giudizio di primo grado, riporta una copia fotostatica della patente del sig. XXX la sua sottoscrizione e la dicitura Tel (….)”. Insomma, come bene chiarisce il Tribunale di Taranto, il testo della scrittura di cui si dice era riportato sulla fotocopia del documento di identità del convenuto, cioè, di Al.. E, questi, come ha avuto modo di evidenziare lo stesso Tribunale, non contestava l’autenticità della firma collocata in calce alla scrittura, riconoscendo, altresì, come a lui appartenete il documento raffigurato in copia a monte del testo della scrittura medesima, ma disconosceva il contenuto dell’atto. Come conferma la stessa Corte distrettuale “(…) il convenuto appellante non ha disconosciuto la propria sottoscrizione, ma solo il contenuto della scrittura (e, a ben vedere, ha anche ammesso di aver parzialmente estinto l’obbligazione, in sede di interrogatorio formale) (….)”.
Ciò detto, resta evidente che, nel caso in esame, la questione va ricondotta, come correttamente ha affermato la Corte distrettuale e ancor prima il Tribunale di Taranto, nell’ambito dell’abusivo riempimento absque pactis (non essendovi alcun patto) di un foglio sottoscritto in bianco. Vale la pena osservare, come pure aveva chiarito il Tribunale di Taranto, confermato dalla Corte distrettuale, sia pure in forma indiretta “(…) in forza della previsione di cui all’art. 2702 cod. civ. la sottoscrizione del documento vale ad ingenerare una presunzione iuris tantum di consenso del sottoscrittore al contenuto dell’atto e di assunzione di paternità dello scritto indipendentemente del fatto che la dichiarazione non sia stata vergata o redatta dal sottoscrittore (…)” Sicché, come è giurisprudenza costante, a denunciare il riempimento abusivo di un foglio firmato totalmente o parzialmente in bianco e, dunque, privare la scrittura privata di valore probatorio, era necessaria la querela di falso e non il semplice disconoscimento ex art. 214 cod. civ. (Cass. n. 11028 del 2016), ammesso che tale disconoscimento sia stato effettuato, dato che il ricorrente non indica quando e come aveva proceduto a tale disconoscimento, mentre dall’incartamento processuale, valutato dalla Corte distrettuale, non risultava effettuato.

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