Corte di Cassazione, ordinanza numero 12998 pubblicata il 15 maggio 2019
Nel 2015 la signora XXX, ricorrendo al Giudice tutelare di Savona, chiedeva di essere nominata come amministratore di sostegno del marito, essendo stata già designata dallo stesso nella funzione, con scrittura privata del 2014 e con procura speciale autenticata del 2015.
Il giudice tutelare respingeva la richiesta ritenendo l’uomo pienamente capace di intendere e di volere.
Avverso il decreto i coniugi proponevano reclamo alla Corte d’Appello di Genova, la quale, con ordinanza del 2016, lo rigettava ribadendo la valutazione circa la piena capacità dell’uomo e osservava che il diritto di rifiutare determinate terapie fosse al di fuori dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno e non tutelabile dallo stesso.
Avverso il decreto della Corte d’Appello di Genova i coniugi hanno proposto ricorso per cassazione.
Invero la Cassazione ha ritenuto non condivisibile l’assunto della Corte di Appello che aveva considerato insussistente il presupposto essenziale – costituito dall’impossibilità del beneficiario di provvedere ai propri interessi – per disporre la misura dell’amministrazione di sostegno, cassando quindi il decreto della Corte d’Appello stessa e rinviando la procedura alla medesima Corte d’appello affinché questa si pronunciasse sulla base dei principi espressi nell’ordinanza.
Per i giudici di legittimità la Corte genovese non ha considerato, infatti, la gravissima patologia da cui è affetto l’uomo (una malformazione artero-venosa) che comporta emorragie continue con conseguente instaurarsi di shock emorragico con rapida perdita della coscienza e compromissione delle funzioni vitali e con gravi difficoltà nell’eloquio. Pertanto, in caso di crisi, soprattutto se sedato, non avrebbe potuto come non potrebbe esprimere in alcun modo il suo dissenso alle trasfusioni a base di emoderivati.
Ad avviso dei Giudici della Prima Sezione, dunque, non può non disporsi l’apertura dell’amministrazione di sostegno a favore dell’uomo.
Invero, l’art. 408 c.c. nello stabilire che l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, è espressione del principio di autodeterminazione della persona in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana ed attribuisce rilievo al rapporto di fiducia interno tra il designante e la persona prescelta, chiamata ad esprimere le intenzioni in modo vincolato, anche per quello che concerne il consenso alle cure sanitarie.
Orbene, ad avviso dei Supremi Giudici, la designazione anticipata della persona dell’amministratore di sostegno ha anche la finalità di poter impartire delle direttive, quando si è nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere all’amministratore designato qualora si prospetti tale condizione del designante.
Già da tempo la Cassazione ha affermato che, in tema di attività medico-sanitaria, il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente non incontra un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio per una strategia della persuasione – perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza – e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Né il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, giacché tale rifiuto esprime piuttosto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale.
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Si allega il testo dell’ordinanza
Corte di Cassazione, ordinanza numero 12998 pubblicata il 15 maggio 2019