Corte di Cassazione, Sez. II Civile, nr. 12573 , pubblicata in data 10 maggio 2019
Svolgimento del giudizio di primo e secondo grado.
Con sentenza del 14 marzo 2011 il Giudice di Pace di Imola rigettava la domanda di pronuncia di nullità/annullabilità della delibera condominiale che aveva posto a carico dei due attori il pagamento della somma di Euro 302,10 dovuta a titolo di “spese personali” da essi soli condomini.
Tale somma era riferita a spese postali e “compensi amministratore” dovuti in dipendenza di comunicazioni e chiarimenti su comunicazioni ordinarie e su problematiche straordinarie condominiali. Il tutto giusto il disposto di cui all’art. 1123, co. 1 , c.c.
Quest’ultimi due interponevano appello avverso la decisione del Giudice di prime cure argomentando che non rientrava nelle attribuzioni della assemblea il potere di addebitare unilateralmente a loro carico spese definite personali.
Il Tribunale di Bologna, in funzione di Giudice di appello, ritenuta l’ammissibilità del proposto gravame, accoglieva l’appello, riformava l’impugnata sentenza del Giudice di Pace, dichiarava la nullità della impugnata delibera nella parte relativa all’approvazione del rendiconto 2008 quanto al riparto delle spese limitatamente all’anzidetto addebito di “spese personali” e compensava integralmente le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Ricorrono in Cassazione gli appellanti (impugnando solo compensazione delle spese), resistito con controricorso dall’intimato condominio, che ha – a sua volta – interposto ricorso incidentale fondato su tre ordini di motivi e resistito con controricorso dai ricorrenti principali.
–
La sentenza è interessante per i principi espressi dalla Cassazione in merito all’addebitabilità di spese riferibili solo a singoli condomini.
Si ricorda che l’art. 1123 c.c., primo comma, prevede, in ordine alla modalità di ripartizione delle spese, che esse siano sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.
Al secondo comma prevede che se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.
Ebbene, la Cassazione ha fornito interessanti spunti in relazione al vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. e 1135 c.c., sollevato con ricorso incidentale.
Secondo il controricorrente, sarebbe stato violato il principio ermeneutico affermato dalla Cassazione con la sentenza 17 settembre 1998 n. 9263, secondo cui “il contributo alla spesa per un servizio comune destinato ad esser fruito in misura diversa dai singoli condomini deve esser ripartito in proporzione all’utilizzazione di esso e non ai millesimi – come invece avviene per il riscaldamento, per impossibilità di accertarne l’effettiva utilità per ciascun condomino – al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini”.
La sentenza impugnata avrebbe, invero, affermato genericamente che, nell’ipotesi, “il potere ripartitorio dell’assemblea non poteva andare oltre a quanto disposto dalla legge” (con ciò inducendo alla considerazione di aver dato rilievo solo al primo comma dell’art. 1123 c.c.).
Senonché, al fine della corretta sussunzione normativa della concreta ipotesi in giudizio, andava considerata anche l’inquadrabilità della fattispecie nell’ambito del secondo comma dell’art. 1123 c.c.
La Cassazione ha ritenuto il motivo in parte fondato.
Ha chiarito la Corte che il secondo comma dell’art. 1123 c.c. prevede una modalità di ripartizione delle spese riferita all’uso di cose comuni e non ad altro e, pertanto, la fattispecie in esame non è sussumibile nella norma comunque applicata.
A tal proposito la Corte richiama la sentenza Cass. N. 4403/1999 la quale aveva collegato l’applicabilità del criterio di liquidazione ex art. 1123, secondo comma solo alla fattispecie inerenti “cose comuni suscettibili di destinazione al servizio dei condomini”. E, fatta sempre salva, altra azione recuperatoria nei confronti del singolo condomino in via sussidiaria rispetto al meccanismo previsto ex art. 1123, secondo comma c.c. “al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini”.
L’applicabilità del secondo comma dell’art. 1123 c.c., quindi, non viene condivisa dalla Corte in relazione al caso in esame in quanto, si ritiene, occorre valutare concretamente la natura dell’attività resa al singolo condominio.
In conclusione la non addebitabilità di spese al singolo condomino che usufruisca di servizi può, quindi, essere affermata, ma non con il rinvio al generale principio ex art. 1123, I co. c.c. della ripartizione proporzionale.
L’addebito alla intera comunità condominiale di spese (quali quelle postali e di attività ulteriore svolta nell’interesse di un singolo condomino) sulla base del generico ed errato riferimento al criterio della ripartizione delle spese sulla proporzione di uso è quindi errato; la giustificazione del permanere a carico del condominio delle spese comunque effettuate a fini individuali risiede nella corretta applicabilità o meno del criterio ex art. 1123, II co. c.c., previa valutazione in fatto della natura del servizio e conseguente considerazione della addebitabilità o meno individuale al singolo condomino.
Con riguardo a tali ribaditi ed affermati principi la Corte accoglieva il motivo di ricorso suddetto, cassava la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, al Tribunale di Bologna in persona di altro giudice.
–
avv. Elisa Boreatti dott.ssa Rosa Colucci
Si allega il testo delle sentenza
Corte di Cassazione, Sez. II Civile, nr. 12573 Anno 2019, pubblicata in data 10 maggio 2019