DIRITTO DEL LAVORO: In caso di omesso versamento dei contributi, il lavoratore, per chiedere il riconoscimento della rendita vitalizia, può avvalersi anche di dichiarazioni testimoniali

Elisa Boreatti

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Inquadramento dell’istituto

L’art. 13 della l. 1338/1962 consente al lavoratore di ottenere una rendita vitalizia qualora il datore abbia omesso, anche solo parziale, il versamento obbligatorio dei contributi e qualora questi non possano più essere versati con le normali modalità e non possano essere richiesti all’Inps essendo intervenuta la prescrizione di legge.

Ratio della norma è quella di sanare un vuoto contributivo che per l’appunto verrebbe ad esistenza in caso di mancato versamento dei contributi e di decorso della prescrizione. La rendita vitalizia non può essere richiesta nei casi in cui le disposizioni vigenti all’epoca dello svolgimento del rapporto di lavoro prevedevano l’esclusione a qualsiasi titolo dall’obbligo assicurativo.

Legittimati attivi

La domanda può essere presentata sia dal datore di lavoro che abbia omesso il versamento dei contributi ed intenda porvi rimedio (comma 1) sia dal lavoratore stesso qualora non possa ottenerla dal datore, salvo il diritto al risarcimento del danno (comma 5).

In tale ultima ipotesi è il lavoratore che deve farsi carico dell’esborso iniziale per sanare la posizione salvo poi l’eventuale rivalsa risarcitoria in danno del datore.

Profilo probatorio

Ai sensi del 4 comma dell’art. 13, al fine di avvalersi della possibilità di richiedere la rendita vitalizia è necessario dare prova dell’esistenza del rapporto di lavoro e che questa emerga da documentazione di data certa.

Si segnala, tuttavia, che nel caso in cui sia il lavoratore a prendere l’iniziativa, la legge richiede che questi provi di non aver potuto ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita.

Ma quale è la documentazione utile ai fini della prova? Sul punto si segnala che nel corso del tempo la rigidità dell’onere probatorio è stata mitigata.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 568 del 22 dicembre 1989  è intervenuta dichiarando  l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 4 e 5, nella parte in cui prevede che la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro e l’ammontare della retribuzione debba essere provata dal lavoratore a mezzo prova scritta.

Tale pronuncia è stata  poi recepita dall’INPS che, con circolare 183/1990, ha affermato che la durata del rapporto di lavoro, la continuità della prestazione lavorativa e l’ammontare della retribuzione possono essere provati anche con “altri mezzi”.

Vengono pertanto ammezzi anche i mezzi di prova orali con alcune precisazioni:

  • le dichiarazioni testimoniali devono essere rilasciate espressamente ai sensi e per gli effetti degli artt. 38 e 47 del DPR n.445/2000 con piena assunzione di responsabilità anche penale per quanto affermato;
  • il dichiarante deve attestare se ha rapporti di parentela, affinità, affiliazione o dipendenza con la parte interessata, ovvero un qualche interesse nei fatti sui quali rende la propria dichiarazione e specificare gli elementi di fatto in base ai quali è venuto a conoscenza di quanto dichiarato.

Successivamente, anche la Corte di Cassazione ha precisato che, secondo logica e ragionevolezza, deve escludersi che il legislatore abbia voluto rendere la relativa prova talmente difficoltosa da vanificare detto riconoscimento o quanto meno da farlo diventare inattuabile (Cass. 19/05/2005, n. 10577; Cass. 3/02/2009, n.2600, richiamata in sentenza; Cass. 20/01/2016, n. 983; Cass. ord. 22/12/2016, n.26666).

Conclusioni

Pertanto, sarà possibile dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro non solo attraverso documenti di data certa redatti all’epoca in cui si svolgeva il rapporto (buste paga, libretti di lavoro, lettere di assunzione o di licenziamento, benserviti, libri paga e matricola, altri documenti attinenti al rapporto di lavoro dichiarato), ma anche attraverso dichiarazioni testimoniali.

 

avv. Gennaro Colangelo    dott.ssa Rosa Colucci

 

Riproduzione riservata

 

 

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