DIRITTO DEL LAVORO: Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: cosa si intende per “ragioni inerenti l’attività produttiva”?

Elisa Boreatti
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Un tema molto dibattuto in giurisprudenza riguarda la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso di mutamento dell’assetto organizzativo dell’azienda in assenza di crisi.

 

QUADRO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE

 

La norma di riferimento è l’art. 3 della L. 604 del 1966 che stabilisce che “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Ma cosa si intende per ragioni inerenti all’attività produttiva? e quali sono i presupposti che legittimano il licenziamento?

In particolare il problema che si pone è quello di capire se sia necessaria la sussistenza di un andamento economico negativo dell’azienda o sia invece sufficiente che l’atto espulsivo sia fondato da ragioni inerenti una migliore organizzazione aziendale (a prescindere quindi dalla sussistenza di una effettiva crisi di impresa).

La giurisprudenza sul punto ha registrato un mutamento di posizione.

In passato, infatti, riteneva che a giustificazione del licenziamento vi dovesse essere da parte del datore di lavoro la necessità di far fronte a sfavorevoli situazioni non meramente contingenti che influivano in modo decisivo sulla normale attività produttiva. In difetto di tale presupposto la giurisprudenza riteneva il licenziamento illegittimo in quanto esclusivamente tendente all’aumento di profitto.

Tale orientamento è stato superato da quello, oramai prevalente, che ravvisa che il licenziamento è legittimo in presenza di una necessità riorganizzativa da parte del datore di lavoro che sia in grado di migliorare l’efficienza operativa, di aumentare il profitto aziendale o di ridurre i costi. Secondo questa prospettiva, pertanto, la necessità di riorganizzazione prescinde da situazione economiche sfavorevoli o di crisi in cui versa il datore di lavoro.

Pertanto, oggi, un licenziamento per motivo oggettivo potrà dirsi manifestamente sussistente, e quindi legittimo, laddove il datore di lavoro ponga a base della misura delle ragioni puramente organizzative tali da rendere maggiormente efficiente l’azienda, anche in assenza di ragioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendale.

Rimarrà comunque sempre in carico al datore di lavoro l’onere di provare che le ragioni poste alla base della misura siano effettivamente sussistenti e siano state tali da generare la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato.

Esaurito questo onere, il Giudice null’altro dovrà accertare e quindi non dovrà più addentrarsi nell’esame circa la economicità o meno del licenziamento.

 

IL RECENTE INTERVENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE

In particolare, tra le pronunce aderenti a  tale filone interpretativo si segnala la sentenza Cassazione civile sez. lav., 15/01/2019, n. 828 la quale ha statuito che i presupposti di legittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 legge n. 604/1966 sono sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano i posti disponibili in azienda ai fini del repêchage (gravando la prova della impossibilità di ricollocamento sul datore di lavoro).

Una volta accertata, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, tale impossibilità, la mancanza di allegazioni del lavoratore circa l’esistenza di una posizione lavorativa disponibile vale a corroborare il descritto quadro probatorio.

Riproduzione riservata

 

avv. Gennaro Colangelo        Dott.ssa Rosa Colucci

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