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La sentenza pronunciata è interessante perché affronta due profili: il primo è quello dei presupposti della pronuncia di addebito e il secondo è relativo alla domanda di natura economica, e, segnatamente, la richiesta di contributo paterno al mantenimento della prole.
Tribunale di Verona, sez. I Civile, sentenza 24 – 26 settembre 2019
Un marito si rivolge al Tribunale per chiedere la separazione con addebito alla moglie. Nel giudizio si costituisce la moglie che chiede, invece, non solo che la separazione venga addebitata al marito ma anche che il padre provveda ad un contributo economico nei confronti dei figli maggiorenni. Il Tribunale ha accolto la domanda di separazione senza addebito ed ha rigettato la domanda di parte resistente tesa all’ottenimento di un contributo dal coniuge per il mantenimento dei figli.
La sentenza pronunciata è interessante perché affronta due profili.
Il primo è quello dei presupposti della pronuncia di addebito.
Sul punto il Tribunale ricorda che “Si deve in primo luogo rammentare che la pronuncia di addebito non può fondarsi sul mero accertamento della violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo anche necessario accertare che tali violazioni siano state la causa della crisi coniugale (v: Cass. civ. 12.05.2017, n. 11929) e non siano invece intervenute quando era già maturata una condizione di intollerabilità della convivenza, da accertarsi sulla base di una valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi (v: Cass. civ. 05.02.2008, n. 2740; Cass. civ. 21.08.1997, n. 7817)”.
Nel caso di specie “Gli esiti delle risultanze istruttorie delineano quindi un rapporto coniugale da sempre connotato da conflittualità, esacerbatasi negli anni, sicché non si ravvisano i presupposti per alcuna pronuncia di addebito.
Il secondo è la domanda di natura economica, e, segnatamente, la richiesta di contributo paterno al mantenimento della prole.
Sul punto il Tribunale stabilisce che “Si deve invero osservare che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli perdura fino a che gli stessi non abbiano raggiunto l’indipendenza economica ovvero il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell’obbligo non dia prova del fatto che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia del figlio ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso (v: Cass. civ. 29.10.2013, n. 24424; Cass. civ., 30/03/2012, n. 5174). Il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento si giustifica infatti nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori e con criteri proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari (v: Cass.civ. 26.04.2017, n. 10207).
Nella specie si deve osservare che i due ragazzi – attualmente di 24 e 22 anni – non hanno conseguito il diploma di scuola media superiore, non risultano essere proficuamente impegnati in un percorso di studi, non risultano svolgere attività lavorativa e non risultano nemmeno essersi attivamente impegnati per il reperimento di un’occupazione. Da qui, quindi, il rigetto della domanda.
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Si allega il testo della sentenza:
Tribunale di Verona, sez. I Civile, sentenza 24 – 26 settembre 2019
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