In questi giorni ha fatto scalpore quanto affermato dal ministro Bonafede in merito al fatto che quando per un reato non si riesce a dimostrare il dolo, esso diventa colposo.
Perché? Perché si ha dolo solo quando un fatto antigiuridico viene commesso da un soggetto con volontarietà. Mentre si ha colpa quando l’evento antigiuridico non è voluto dall’agente, ma si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline da parte di chi agisce. Dolo e colpa, dunque, pur essendo entrambi criteri che fondano la colpevolezza di un soggetto che ha commesso un fatto qualificato dalla legge come reato, prevedono presupposti e ambiti diversi. Non è dunque possibile attribuire all’imputazione colposa una sorta di “imputazione sussidiaria” che viene invocata quando non vi sono i presupposti per l’imputazione del fatto a titolo di dolo.
Premesse
Il nostro ordinamento penale si fonda sul principio in forza del quale il cittadino deve poter sapere prima di agire se, dal suo comportamento, possa derivare una responsabilità penale e quali siano le eventuali sanzioni in cui potrà incorrere. Solo così il cittadino può compiere libere scelte assumendosi, di conseguenza, la responsabilità dei suoi comportamenti. Tuttavia, perché sia legittimo il ricorso alla sanzione penale, non è sufficiente che venga commesso un fatto che offende un bene giuridico protetto dalla norma penale, così come non è sufficiente che la realizzazione di quel fatto non sia autorizzata da una norma giuridica: è necessario che il fatto possa essere rimproverato proprio alla persona che lo ha posto in essere. È quindi necessario che si possa anche configurare quella che in dottrina viene definita “colpevolezza”.
Nel nostro ordinamento i criteri che fondano e graduano la colpevolezza sono:
– il dolo
– la colpa
– il dolo misto a colpa
– l’assenza di scusanti
– la conoscenza o la conoscibilità della legge penale violata
– la capacità di intendere e volere.
È evidente che la prima distinzione, che a molti spesso sfugge, è proprio fra il concetto di “dolo” e quello di “colpa”.
Dolo
Si ha dolo quando il soggetto agente si è rappresentato il fatto antigiuridico nel momento stesso in cui ha iniziato a porre in essere l’azione prevista dalla fattispecie penale. Il dolo può poi assumere tre gradi e quindi si ha il dolo intenzionale (quando l’autore agisce proprio allo scopo di realizzare il fatto. Un esempio si ha quando il soggetto spara per uccidere una persona); il dolo diretto (che si ha quando il soggetto non persegue la realizzazione di quel fatto, ma si rappresenta come certo il verificarsi dell’evento come effetto della azione che ha posto in essere); il dolo eventuale (quando il soggetto non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come seriamente possibile il verificarsi dell’evento e nonostante questo non rinunzia a porre in essere l’azione).
Il dolo rappresenta quindi la forma più grave di responsabilità penale.
Colpa
Il codice penale all’art. 43 cp stabilisce, invece, che si ha delitto colposo quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La colpa quindi sussiste nel momento in cui non vi è dolo e vi è negligenza, imprudenza o imperizia ovvero inosservanza di leggi, regolamenti ordini e discipline.
La colpa quindi rappresenta una forma meno grave di responsabilità. Per comprenderlo basta considerare che il codice penale all’art. 575 cp prevede, per il reato di omicidio doloso, la pena minima di 21 anni di reclusione, mentre l’art. 589 cp prevede, per chi cagiona la morte per colpa, la pena massima di 5 anni di reclusione.
Considerazioni conclusive
Da quanto emerge è evidente quindi che dolo e colpa, pur attenendo al profilo della colpevolezza, hanno ambiti e confini ben definiti.
–
Riproduzione riservata
avv. Elisa Boreatti