Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 aprile – 31 luglio 2019, n. 35092
Nella sentenza in oggetto dapprima la Corte richiama un consolidato insegnamento in base al quale il delitto di violenza privata tutela la libertà psichica dell’individuo ed è volta a reprimere genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre disposizioni normative.
Da ciò evidenzia che il concetto di violenza trova fondamento in qualsiasi atto posto in essere dall’agente che si risolva in una coartazione della libertà fisica ovvero psichica del soggetto passivo, inducendolo, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualcosa, a prescindere dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico.
In merito a quest’ultimo elemento viene anche evidenziato che la violenza può essere anche “impropria”, attuandosi tramite l’utilizzo di strumenti anomali diretti ad esercitare pressioni sull’altrui volontà, impedendo la libera determinazione.
Dunque, tenendo conto che il reato di violenza privata può tradursi non solo in minacce verbali, ma anche in atteggiamenti idonei ad incutere timore e a suscitare la preoccupazione del soggetto passivo di subire un danno ingiusto, con lo scopo di indurlo a fare, tollerare o omettere qualcosa, la Corte di Cassazione ha riscontrato tali elementi nella condotta dell’imputato che aveva in maniera irruenta, estratto con forza la sua ex fidanzata dall’abitacolo del veicolo, nonostante la chiara manifestazione di volontà della stessa che non era intenzionata a continuare la conversazione con il suo ex fidanzato con il quale aveva già avuto una accesa discussione all’interno di una discoteca.
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Si allega:
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 aprile – 31 luglio 2019, n. 35092