Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza 13 maggio 2019 nr. 20527
FATTO
Il Tribunale di Chieti aveva condannato due soggetti per il reato di violenza privata in quanto avevano installato sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni delle telecamere orientate su zone e aree aperte al pubblico transito. Tale condotta avrebbe costretto le costituite parti civili nell’anzidetto processo a tollerare di essere osservati e controllati nella loro quotidianità.
La Corte d’Appello aveva riformato la sentenza solo per quanto riguardava il trattamento sanzionatorio.
Avverso la sentenza di secondo grado i condannati avevano proposto ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso non ravvisando nella condotta contestata il reato di violenza privata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Suprema Corte parte dal dato di fatto, ossia che la condotta contestata concerne non l’acquisizione di immagini relative alla condotta tenuta dai cittadini sulla pubblica via, ma il condizionamento esercitato su alcune persone dagli imputati mediante l’installazione e l’utilizzo di immagini tratte dai filmati registrati dalle telecamere.
La Corte prosegue poi soffermandosi sull’analisi del delitto di violenza privata qualificandolo come quel reato volto a tutelare la libertà psichica dell’individuo da qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la sua libertà di autodeterminazione e la sua libertà di azione. Pertanto non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, ma è sufficiente che a fronte di un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore e suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa.
La Corte specifica altresì che il delitto in esame ha carattere residuale rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato.
E’ quindi alla luce di tali coordinate ermeneutiche che la Corte di Cassazione ha valutato che nella fattispecie sottoposta al suo esame non si potesse ravvisare il delitto di cui all’art. 610 cp per i seguenti motivi:
- l’installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé una attività illecita e non è ravvisabile nel prospettato cambiamento delle abitudini di alcuni abitanti l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma trattandosi di condizionamenti minimi tali da non considerarsi espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione;
- non può ritenersi integrato il reato di cui all’art. 610 cp laddove gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un “pati”, ma siano essi stessi produttivi dell’effetto lesivo senza alcuna coartazione della libertà di determinazione della persona offesa.
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Si allega il testo della sentenza:
Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza 13 maggio 2019 nr. 20527