Nel nostro approfondimento del 15 aprile 2020 abbiamo parlato delle tutele approntate dall’Inail a favore dei lavoratori nell’attuale situazione emergenziale causata dal Coronavirus.
In tale occasione si era detto che, in base a quanto disposto dall’art. 42, comma 2, del decreto legge n. 18, del 17 marzo 2020 (cosiddetto Decreto Cura Italia), il contagio da Coronavirus deve essere trattato dal datore di lavoro pubblico/privato e dall’Inail come un infortunio.
E difatti, nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro, le prestazioni Inail sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro.
Ebbene, adesso ci si chiede se i lavoratori trovino tutela anche dal punto di vista penalistico. In particolare, ci si chiede se il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere penalmente degli eventuali danni che i suoi dipendenti possano subire qualora fossero contagiati in occasione di lavoro.
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Occorre preliminarmente rilevare che il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia che discende in primo luogo dall’art. 2087 c.c. e gli impone di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.
A questa norma generale si affiancano poi le disposizioni previste dal D.Lgs. n. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro) e, in particolare, dall’art. 18, che pone a carico del datore di lavoro alcuni obblighi specifici. Per quanto qui di interesse:
– fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente (lett. d);
– richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione (lett. f);
– informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione (lett. i);
– astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato (lett. m).
Da ciò discende che il datore potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente nei casi di contrazione del Covid-19, da parte dei dipendenti o di terzi, all’interno dei luoghi di lavoro.
Si sottolinea che la violazione degli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 è già di per sé motivo di responsabilità penale, a prescindere dal fatto che si siano verificati o meno degli infortuni.
Assodato che sussiste una responsabilità penale del datore in caso di infezione da coronavirus occorre ora chiedersi di quali reati potrebbe rispondere.
Laddove si possa accertare che l’inosservanza delle disposizioni in materia di sicurezza sui posti di lavoro sia stata causa di infezione del lavoratore, il datore di lavoro risponderà dei reati di:
a) lesioni personali gravi o gravissime ai sensi dell’art. 590 c.p.;
b) omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte.
a) Ai sensi del secondo e terzo comma dell’art. 590 c.p., il datore di lavoro potrebbe essere punito con la reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 qualora la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro causi lesioni gravi; con la reclusione da uno a tre anni qualora le lesioni siano gravissime.
b) Ai sensi del secondo comma dell’art. 589 c.p., il datore di lavoro potrebbe rispondere della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro che abbia cagionato la morte del lavoratore con la pena della reclusione da due a sette anni.
Occorre infine rilevare che accanto alla responsabilità penale del datore di lavoro, potrebbe, inoltre, affiancarsi, la responsabilità della società per violazione del D.lgs. n. 231 del 2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica).
Tale decreto legislativo prevede la responsabilità della società per il reato presupposto commesso dalla persona fisica che rappresenta o che lavora presso la società stessa.
Giova ricordare che il reato presupposto è un fatto criminoso che rappresenta, a sua volta, la condizione per la commissione di un altro reato.
La responsabilità dell’impresa per il reato commesso da una persona fisica si configura laddove si verifichino cumulativamente le seguenti condizioni:
1. il reato presupposto sia stato commesso da un soggetto che rivesta funzione di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’Ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale, nonché da persone che esercitino anche di fatto la gestione o il controllo dello stesso, o da persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno di questi soggetti;
2. il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’Ente;
3. l’Ente sia sprovvisto di un adeguato Modello Organizzativo idoneo alla prevenzione del reato presupposto.
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I chiarimenti dell’Inail.
Con circolare n. 22 del 20 maggio 2020, l’Inail chiarisce in quali casi il datore potrebbe rispondere penalmente del contagio da coronavirus dei suoi dipendentei.
L’Inail richiama la sentenza a Sezioni Unite n.30328 del 10 luglio 2002 con la quale la Corte di Cassazione aveva affermato che nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo…” e che “l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio”.
Conclude quindi che se l’imprenditore adotta le misure previste dalle norme per la tutela della salute dei lavoratori non incorre nelle responsabilità civili e penali previste in caso di inosservanza delle misure di garanzia per la sicurezza dei lavoratori.
Quanto alle condizioni per l’eventuale avvio dell’azione di regresso, viene chiarito che l’attivazione dell’azione di regresso, non essendo più subordinata alla sentenza penale di condanna dopo l’elisione da parte della Corte Costituzionale della pregiudizialità penale, presuppone, come è noto, la configurabilità del reato perseguibile d’ufficio a carico del datore di lavoro o di altra persona del cui operato egli sia tenuto a rispondere a norma del codice civile.
Pertanto, così come il giudizio di ragionevole probabilità in tema di nesso causale, che presiede al riconoscimento delle prestazioni assicurative in caso di contagio da malattie infettive, non è utilizzabile in sede penale o civile, l’attivazione dell’azione di regresso da parte dell’Istituto non può basarsi sul semplice riconoscimento dell’infezione da Sars-Cov-2.
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In sintesi:
– il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia che gli impone di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro;
– potrebbe rispondere del reato di lesioni personali gravi o gravissime ai sensi dell’art. 590 c.p., rispondendo anche dei consequenziali danni patrimoniali e non patrimoniali della parte offesa ;
– potrebbe rispondere del reato di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, rispondendo anche dei consequenziali danni patrimoniali e non patrimoniali della parte offesa;
– accanto alla responsabilità penale del datore di lavoro, potrebbe affiancarsi, la responsabilità della società;
– in ogni caso, se l’imprenditore adotta le misure previste dalle norme per la tutela della salute dei lavoratori non incorre nelle responsabilità civili e penali previste in caso di inosservanza delle misure di garanzia per la sicurezza dei lavoratori;
– l’attivazione dell’azione di regresso da parte dell’Istituto non può basarsi sul semplice riconoscimento dell’infezione da Sars-Cov-2.
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Avv. Gennaro Colangelo Dr.ssa Rosa Colucci