FOOD LAW: Il consumo del pasto domestico a scuola e fonti di responsabilità a carico del personale scolastico

Elisa Boreatti

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La prima Sezione civile della Cassazione ha ritenuto opportuno investire con ordinanza dell’11 marzo 2019 il Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione di diritto: “… se nel nostro ordinamento giuridico sia o meno configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, eventualmente quale espressione di una libertà personale inviolabile, il cui accertamento sia suscettibile di ottemperanza, di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e di consumarlo nei locali della scuola e comunque nell’orario destinato alla refezione scolastica, alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali, in tema di diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (artt. 2 e 3 Cost., art. 30 Cost., comma 1, art. 32 Cost., art. 34 Cost., commi 1 e 2) …”.

Breve premessa sulla questione.

La vicenda nasce nel novembre 2014 quando un ingente numero di genitori di alunni di scuole elementari e medie di Torino decideva di rivolgersi all’autorità giudiziaria in seguito al divieto imposto ai loro figli di consumare cibo portato da casa all’interno delle aule mensa delle scuole durante la pausa pranzo. Invero, l’Amministrazione scolastica ed il Comune di Torino negavano tale facoltà sostenendo l’impossibilità per gli alunni di usufruire del servizio mensa scolastico con modalità diverse e potendo i genitori prediligere il modulo del “tempo breve” consistente nel far uscire i figli da scuola durante l’ora di pranzo e riaccompagnarli per le attività pomeridiane.

Dopo il primo giudizio di merito in linea con la tesi di Miur (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) e Comune di Torino, la Corte d’Appello di Torino accoglieva la tesi dei genitori, ritenendo sussistente un dovere per le scuole di “… consentire indiscriminatamente agli alunni di consumare il pasto domestico presso la mensa scolastica …”, adottando le apposite misure organizzative necessarie. Ciò in quanto la nozione di istruzione “… non coincide con la sola attività di insegnamento, ma comprende anche il momento della formazione …”, che si realizza mediante non solo attività strettamente didattiche, rientrando cioè il “tempo mensa” nel “tempo scuola”.

Da qui l’intervento delle Sezioni Unite le quali con sentenza n. 20504/2019 si sono espresse in senso contrario negando l’esistenza dell’ipotizzato diritto soggettivo perfetto dei genitori, sussistendo, invece, solo una pretesa del cittadino, qualificabile come interesse legittimo, ad orientare le scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa che restano, tuttavia, sempre rimesse alla singola istituzione scolastica in attuazione del principio di buon andamento della P.A.

L’iter argomentativo delle Sezioni Unite sul punto.

Il ragionamento delle Sezioni Unite è vario ed articolato e si cerca in questo testo di evidenziarne i punti cardine.

In primo luogo le Sezioni Unite hanno specificato che il “tempo mensa” si inserisce in un quadro di un più articolato progetto formativo scolastico, relativo all’educazione ad un’alimentazione sana che contribuisce, peraltro, alla socializzazione tipica del consumo dei pasti insieme ad altre persone in condizione di uguaglianza seppur nel rispetto delle differenti esigenze di salute o dei diversi orientamenti religiosi e culturali degli alunni.

Secondo tale ragionamento, a parere delle Sezioni Unite, sarebbe incoerente un diritto soggettivo perfetto o incondizionato all’autorefezione individuale, in quanto verrebbe meno l’aspetto della socializzazione e della condivisione tra gli studenti, dal momento che alcuni di essi non potranno consumare il cibo preparato a casa con i compagni di classe, ma sarebbero costretti a pranzare in locali distinti e separati.

In secondo luogo, sempre a parere delle Sezioni Unite, il fatto di privare le famiglie della libertà di scegliere il pasto domestico, escludendo la fruizione del servizio mensa non si porrebbe in contrasto con:

–          il principio della gratuità dell’istruzione inferiore sancito dall’art. 34 Cost., atteso che, come già chiarito dalla stessa Corte di Cassazione, il richiamato principio non implica che si debba necessariamente assicurare la completa gratuità di tutte le ipotizzabili prestazioni che possano essere connesse all’esercizio del diritto allo studio, pur se collaterali, accessorie, di supporto, facoltative o di completamento, quand’anche rese necessarie da peculiari situazioni personali;

–          il diritto della libertà personale, di autodeterminarsi o di educare i propri figli con specifico riguardo al profilo alimentare (artt. 2, 3, 13 e 30 Cost.), né tantomeno con il diritto dei genitori di non subire interferenze nell’adempimento dei loro doveri di lavoratori a causa della necessità di accudire i figli durante l’orario del pranzo (art. 35 Cost.).

I giudici di legittimità precisano altresì che l’aver optato per il tempo pieno o prolungato implica necessariamente per i genitori l’aver accettato un’offerta formativa dalla quale non deriva una pretesa ad imporre un determinato modello organizzativo del servizio mensa al fine di assecondare le proprie esigenze individuali, bensì solo un diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo attraverso il cui esercizio qualsiasi cittadino può incidere sulle concrete modalità di gestione del servizio pubblico reso dalla singola istituzione scolastica in attuazione del principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica di cui all’art. 97 Cost.

Infatti la Corte nella sentenza in esame ricorda che “ … l’istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni, né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negoziali ma è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli e la valorizzazione delle diversità individuali (…) devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dall’istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza …”.

In conclusione le Sezioni Unite hanno enunciato il principio di diritto secondo cui: “ … un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, i quali possono esercitare diritti procedimentali, il fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi del buon andamento dell’amministrazione pubblica …”.

Profili di responsabilità civile dell’istituto scolastico per danni all’alunno.

Alla luce della ricostruzione di cui sopra non si può prescindere dal considerare gli oneri finanziari che possano gravare sulla Pubblica Amministrazione ed il necessario controllo a cui è tenuta la stessa circa i danni alla salute a cui potrebbero andare incontro gli alunni nel caso in cui non sia in grado di garantire un adeguato servizio di sorveglianza.

A tal proposito occorre fare una breve disamina in tema di responsabilità civile per i danni subiti dagli alunni durante l’orario scolastico.

Distinguiamo due situazioni:

1) L’alunno subisce pregiudizi a causa del comportamento illecito di un proprio compagno di scuola: in tal caso si parlerà di responsabilità di tipo extracontrattuale ex art. 2048 comma 2 c.c. della scuola e dell’insegnante in virtù del quale i maestri e i precettori si presumono responsabili per il fatto illecito dell’allievo e per non aver disposto tutte le misure idonee ad evitare l’evento. In materia di onere della prova il danneggiato deve provare che l’illecito sia stato commesso da un altro studente, mentre in capo alla scuola incombe l’onere di dimostrare l’imprevedibilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitarlo (in tal senso Cass. Civ. 9983/19).

2) L’alunno provoca i danni a se stesso: in tal caso, risultando inapplicabile la fonte normativa di cui all’art. 2048 comma 2 c.c., che ha come presupposto costitutivo l’esistenza di un fatto illecito imputabile ad un altro allievo a titolo di dolo o quanto meno di colpa produttivo di un danno, la giurisprudenza ha seguito delineato diverse strade per riconoscere comunque un diritto al risarcimento del danno subito dall’allievo.

Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale sarebbe applicabile l’art. 2043 c.c. con la conseguenza che il danneggiato dovrebbe dimostrare (percorso non semplice) che il personale scolastico sia, nella specie, venuto meno all’obbligo di vigilare sull’incolumità del minore ad esso affidato durante l’orario scolastico (Cass. Civ. n. 1135/1999).

Una successiva e più favorevole soluzione per il danneggiato potrebbe essere quella di attribuire una responsabilità da inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. all’istituto scolastico e all’insegnante per gesti autolesionistici dell’allievo, sulla base della seguente considerazione: “ … l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso …” (In tal senso Cass. Civ. 9346/2002).

Pertanto, secondo tale ultimo orientamento a cui è giunta la giurisprudenza, si instaura tra insegnante e l’allievo un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Da questo deriva che il regime probatorio da seguire è quello disciplinato dall’art. 1218 c.c. laddove, da una parte l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante.

In relazione ai due diversi profili di responsabilità la Cassazione, con sentenza 10030/2006, ha  ribadito come la presunzione di responsabilità a carico degli insegnanti di cui all’art. 2048, comma 2, c.c. trovi applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito dell’allievo e che, quindi, essa non è estensibile anche in ordine all’azione di risarcimento del danno che l’allievo abbia, con la sua condotta, procurato a se stesso, ha confermato una decisione di merito che aveva erroneamente applicato l’art. 2048, comma 2, c.c. anche al caso di specie in cui lo studente si era auto-procurato delle lesioni durante l’orario scolastico.

La giurisprudenza civile ha chiarito anche i tempi e le modalità con cui la vigilanza deve essere esercitata. Ha chiarito altresì che va controllato e garantito in ogni momento in cui è affidato all’istituzione scolastica e, dunque, dal suo ingresso a scuola fino all’uscita, ricorrendo la responsabilità anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto al di fuori dell’orario delle lezioni, qualora sia consentito l’anticipato ingresso nella scuola dello studente o la successiva sosta, “sussistendo l’obbligo delle autorità scolastiche di vigilare sul comportamento degli scolari per tutto il tempo in cui costoro vengono a trovarsi legittimamente nell’ambito della scuola fino al loro effettivo licenziamento” (In tal senso Cass. Civ. 1623/1994).

Tale responsabilità sorgerà con riferimento all’attività di vigilanza degli alunni da parte del personale addetto a svolgere tale funziona e dunque anche durante il momento di somministrazione dei pasti.

 

Avv. Elisa Boreatti                                                                   Dr.ssa Bruna Moretti

 

 

 

Si allega il testo della sentenza

Sentenza

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