Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 19 settembre – 12 dicembre 2019, n. 32728
FATTO
I proprietari di un immobile hanno intimato lo sfratto per morosità alla società conduttrice in riferimento ad un contratto di locazione commerciale. La predetta società si è costituita in giudizio ed ha formulato domanda riconvenzionale chiedendo sia di dichiarare nulli i patti stipulati tra le parti relativi all’aumento del canone sia la condanna alla restituzione dell’eccedenza.
GRADI DI GIUDIZIO
In primo grado, il Tribunale, negata la convalida e mutato il rito, con sentenza ha condannato i locatori a restituire a controparte la rispettiva somma.
La Corte d’Appello, in riforma della pronuncia impugnata, la Corte d’Appello ha ridotto la somma che i locatori dovevano versare.
La società conduttrice ha quindi presentato ricorso per cassazione e in quel giudizio si sono costituiti i locatori eccependo l’inammissibilità del ricorso per carenza di capacità processuale della società apparentemente ricorrente, essendo la stessa cancellata dal registro delle imprese in data 10 maggio 2018, ovvero prima del conferimento della procura speciale per il giudizio di cassazione.
POSIZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione, ha rilevato che gli effetti della cancellazione dal registro delle imprese sono stati chiariti da un celebre intervento nomofilattico, S.U. 12 marzo 2013 n. 6070 che ha affermato che “la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche la società di persone, sebbene non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti”; dalla cancellazione, per la tutela del creditore, deriva altresì un fenomeno di tipo successorio, ma questo non toglie, anzi conferma che il soggetto sociale si è estinto.
L’estinzione della società la priva, ovviamente, pure della capacità di stare in giudizio.
Di conseguenza, qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che «la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso» (Cass. S.U. 12 marzo 2013 n. 6070). In virtù del citato orientamento, è conseguentemente inammissibile, e non nulla, l’impugnazione (nella specie, ricorso per cassazione) proposta da una società cancellata dal registro delle imprese.
Fermo quanto sopra la Corte ha rilevato che essendosi comunque sviluppato un contraddittorio, in quanto gli intimati hanno ricevuto effettiva notifica del ricorso e conseguentemente hanno proceduto a difendersi con controricorso, era necessario affrontare la questione delle spese del giudizio dinnanzi la Suprema Corte.
A tal proposito si osserva che qualora sia stata proposta azione o impugnazione da un difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome dichiara di agire, tale attività non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il professionista legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio.
Nell’ipotesi di ricorso per cassazione da parte dell’ex rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese, la sua inammissibilità comporta che sia condannato alle spese in proprio il soggetto che ha speso la qualità di legale rappresentante del soggetto non più esistente. Per queste ragioni il ricorso presentato è stato dichiarato inammissibile e per l’effetto, gli ex soci sono stati condannati solidalmente a rifondere ai controricorrenti le spese processuali.
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Si allega il testo dell’ordinanza:
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 19 settembre – 12 dicembre 2019, n. 32728