In tal caso, difatti, viene a mancare il nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto e la formazione del carcinoma ai polmoni poiché vi è l’interferenza del fumo di sigaretta protratto per parecchi anni.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 27556/20; depositata il 2 dicembre)
In fatto.
Con sentenza depositata il 6.8.2014, la Corte d’appello di Genova confermava la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dalla vedova di un lavoratore deceduto a causa di un carcinoma ai polmoni volta a conseguire le prestazioni previdenziali dovutele per il decesso del congiunto, decesso provocato, a suo dire, dalla patologia originata dall’esposizone all’amianto in ambito lavorativo.
Avverso questa sentenza, la vedova del lavoratore presentava ricorso in Cassazione.
Cassazione.
Preliminarmente i giudici rilevavano che dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia.
Ciò comporta che è onere dell’INAIL dimostrare la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia.
Ricordava inoltre la Cassazione che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della (in)idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso, con la precisazione che, in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicché l’INAIL può solo dimostrare che la patologia tumorale non è ricollegabile all’esposizione a rischio (Cass. n. 19047 del 2006 e, più recentemente, Cass. nn. 23653 del 2016 e 20769 del 2017).
I giudici di merito, disponendo una ctu, avevano riscontrato un fortissimo fattore di rischio nella protratta abitudine del fumo di sigaretta, posto che il de cuius ha fumato, per circa cinquant’anni, sessanta sigarette al giorno e ha contratto una forma di tumore al polmone che può considerarsi ‘tipica’ dei soggetti fumatori.
Accogliendo l’iter decisionale dei giudici di merito, la Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, l’esposizione all’amianto non può ritenersi sufficiente a determinare l’insorgere della malattia poiché vi è stata “l’interferenza” rappresentata dalla protratta abitudine a fumare fino a sessanta sigarette al giorno.
Per questo motivo, la Corte rigettava il ricorso, mancando la prova del nesso di causalità tra esposizione all’amianto e sviluppo del carcinoma, e condannava la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.
Commento dello Studio Legale Boreatti Colangelo & Partners