Sin qui abbiamo visto che la liquidazione controllata può essere chiesta dal debitore, dal creditore e anche dal pubblico ministero (seppur in queste ultime due ipotesi il legislatore ha imposto che il debitore abbia una esposizione minima di euro 50.000).
Oggi vi forniamo un ulteriore dettaglio: il debitore può avvalersi di questo tipo di strumento anche se inizialmente aveva chiesto (ed ottenuto) di avvalersi della procedura di ristrutturazione del debito o del concordato minore per poter definire i propri debiti.
Ecco quindi che, il debitore usufruisce di quella che è definita “procedura residuale” per effetto della conversione da altra.
Vediamo nello specifico.
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La prima ipotesi è regolata dall’art. 73 “conversione in procedura liquidatoria” che in tema di piano di ristrutturazione così dispone al primo comma “in caso di revoca dell’omologazione, il giudice su istanza del debitore dispone la conversione in liquidazione controllata”.
La seconda in tema di concordato minore è disciplinata dall’art. 83 “conversione in procedura liquidatori” che recita “in ogni caso di revoca o risoluzione il giudice su istanza del debitore dispone la conversione in liquidazione”.
Leggendo queste righe di cosa si ha evidenza?
Ebbene di fatto che:
- 1. è il debitore che deve farne richiesta;
- 2. il Tribunale concede un termine al debitore per l’integrazione della documentazione e provvede ai sensi dell’art. 270.
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E questo è proprio l’articolo che regola l’apertura della liquidazione controllata. Ecco quindi che la lettura congiunta di queste disposizioni andrebbe a confermare che la liquidazione controllata pur strumento pensato per la risoluzione della crisi da sovraindebitamento, si pone non solo come “rimedio residuale”, ma anche sussidiario rispetto alle scelte che il debitore compie.