Il rogito “salta”: le tasse sulla caparra confirmatoria si pagano lo stesso

Elisa Boreatti

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Il contratto preliminare è quello che vincola a concludere il successivo contratto di compravendita:

non trasferisce nessun diritto.

Se successivamente il rogito non viene concluso, entrambe le parti son tutelate. In che modo? Attraverso l’istituto della “caparra confirmatoria” che altro non è che una somma che viene consegnata da promissario acquirente al promittente venditore.

Ebbene questa somma rimane a quest’ultimo, a titolo di acconto sul maggior prezzo, se l’affare si conclude. Ma se così non dovesse essere? In tal caso il promittente venditore la può trattenere quale sorta di risarcimento del danno.

Se invece è il promittente venditore ad essere inadempiente, allora il promissario acquirente può chiedere la restituzione del doppio della caparra.

Quindi se l’affare non si è concluso e una delle due parti, quella non inadempiente, si trova ad avere “tra le mani” una somma di denaro.

Come va qualificata? La Corte di Cassazione non ha ritenuto di definirla come una pena privata che sia così stata stabilita convenzionalmente, ma come “indennità conseguita a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti”. Pertanto, il Supremo Organo ne ha statuito l’assoggettamento a Irpef come plusvalenza imponibile ai sensi dell’articolo 67 del Tuir.

Chi ha ricevuto una caparra confirmatoria, quindi, anche se non ha concluso il contratto, deve dichiararlo: diversamente compie il reato di dichiarazione infedele. Nell’ipotesi poi in cui dovesse superare la soglia di punibilità realizza, invece, quello di evasione fiscale, come ci ricorda la Corte di Cassazione con la recente  sentenza nr. 23837 del 21.6.2022.

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